Flotte poco eco – L’Automobile
Roma, 01.11.17
Il 20% del parco auto business è Euro 6. Ma il diesel è ancora la scelta privilegiata e, senza incentivi, restano poche le ibride e le elettriche.
Per questioni fiscali legate al periodo d’ammortamento (in genere tra i tre e i quattro anni, con punte massime di cinque per gli autocarri) e per motivazioni di intenso utilizzo, le auto guidate per lavoro sono in gran parte recenti, e dunque ecologiche e “risparmiose”. Cambiare l’auto per aziende e professionisti è una sorta di obbligo, anche se la convenienza fiscale è nettamente minore rispetto a quanto avviene nel resto del Continente, sia in termini di detraibilità dell’Iva sia sul versante della deducibilità dei costi.
Le auto (e i veicoli commerciali) delle flotte aziendali sono per una buona metà omologate secondo la normativa Euro 5, ma anche le Euro 6 sono già piuttosto diffuse (circa il 20%), mentre il restante 30% è in gran parte Euro 4, con qualche piccola quota (fortunatamente poco significativa) di vetture rispondenti a normative ambientali più vecchie. Sembrerebbe, quindi, che le flotte italiane siano ben più virtuose degli automobilisti privati. E, in effetti, è proprio così: a fronte di un parco nazionale circolante tra i più vetusti d’Europa (il più obsoleto, se si considera il volume di mezzi inquinanti che circolano tuttora sulle nostre strade), l’utenza business meriterebbe un premio. Però, se si guarda al resto d’Europa, verso molti Paesi automobilisticamente importanti (Francia, Germania e Regno Unito, per esempio), ci si accorge che la strada da percorrere per raggiungere un parco aziendale a impatto minimale è ancora piuttosto lunga.
Prendiamo per esempio il tema dell’auto elettrica: in Italia nei primi 8 mesi del 2017 sono state immatricolate soltanto 1.500 vetture, con un tasso di crescita minimo rispetto al 2016 (quando nei 12 mesi ne furono targate 1.651) e al 2015 (1.623 unità). Numeri praticamente ridicoli, soprattutto se si entra nel dettaglio dei canali di vendita che hanno assorbito questi veicoli a impatto zero: se gli acquirenti privati sono stati 302, gli utenti aziendali rappresentano un volume appena superiore (675), comprendendo in questa cifra sia gli acquisti diretti (proprietà e leasing) sia quelli intermediati dai noleggiatori a lungo termine (la somma di queste vendite è definita dalla segmentazione di Dataforce “True Fleets”, cioè flotte destinate a un reale utilizzatore business). Le restanti 523 unità sono state, sempre quest’anno, appannaggio dei cosiddetti Special Channels, ovvero i noleggi a breve termine (rent-a-car) assommati alle auto-immatricolazioni dei concessionari e delle Case costruttrici (ossia vetture “demo” e “km zero”). Se paragoniamo questi numeri striminziti con quelli generati dal mercato francese, dobbiamo aggiungere “uno zero abbondante”: 17.000 le auto elettriche immatricolate oltralpe quest’anno, 22.700 nell’intero 2016 e quasi 18.000 nel 2015. Numeri appena più bassi, ma comunque “sostanziosi”, anche in Germania.
Delle quasi 50.000 auto elettriche vendute quest’anno nelle prime cinque nazioni automobilisticamente più rilevanti d’Europa (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna), il nostro Paese ha assorbito una quota infinitesimale. La colpa è ascrivibile alla totale mancanza di sistemi di incentivazione all’acquisto (sia ai privati sia alle aziende), al contrario di quanto avviene in quasi tutti i Paesi del Continente, dove chi acquista un veicolo a impatto zero può racimolare sconti e vantaggi fiscali che possono superare in molti casi i 10.000 euro. Da noi, invece, ci si limita a una (provvisoria) esenzione dal pagamento del bollo e a qualche agevolazione nella circolazione e nelle soste (gratuite anche sulle strisce blu). Ormai cronico anche il problema dei punti di ricarica (e quindi delle infrastrutture), che in molti casi sono relegati alla coscienza ecologica (e al portafoglio) dei singoli utenti (o aziende). Anche se qualche progetto innovativo sta decollando in questi mesi, stimolato soprattutto dalle imprese che vogliono dotarsi di un parco realmente a impatto minimo.
Sul versante delle auto ibride, a parte l’impegno dei Costruttori automobilistici che sfornano novità di prodotto a getto continuo, i numeri sono appena più dignitosi: 40.000 veicoli alimentati da corrente e da un motore a benzina (più raramente diesel) sono stati immatricolati da gennaio ad agosto di quest’anno. In Francia e in Germania siamo attorno alle 50.000 unità. La penetrazione dell’ibrido nelle flotte, però, è scarsa: solamente il 2,67% sul totale delle immatricolazioni “True Fleets”. Con un tasso di crescita molto lento: la market share era del 2,18% nel 2015 per passare al 2,22% nel 2016. Per un confronto immediato, ricordiamo che il diesel nelle flotte veleggia da sempre ben oltre il 70%. Tra i privati, invece, l’ibrido cresce a ritmi più serrati: quest’anno è al 3,42%, mentre lo scorso anno la quota era pressoché identica a quella delle flotte (2,20%).
L’Italia, però, è la patria delle auto a doppia alimentazione. In questo caso l’energia elettrica non c’entra: stiamo riferendoci alle auto a gas (gpl o a metano). Nel 2017 hanno rappresentato la scelta di quasi 110.000 automobilisti. Ma non dell’utenza business, che ha conquistato circa 20.000 guidatori aziendali, contro i 90.000 privati. I numeri delle auto a gas, inoltre, sono in forte contrazione: nel 2015, anno di ripresa del mercato, ma non paragonabile al boom di quest’anno (si supereranno i 2 milioni di nuove targhe), le auto a gpl o a metano furono oltre 183.000. In Germania, le auto nuove a gas sono ormai ridotte al lumicino: soltanto 4.600 nel 2017, 6.200 nel 2016 e poco più di 10.000 nel 2015. In Francia, trovare un’auto nuova a gas è come scovare un ago in un pagliaio: solamente 762 quelle immatricolate quest’anno fino ad agosto.
Le flotte aziendali italiane, dunque, stanno puntando su scelte di alimentazione tradizionali: diesel soprattutto, anche se le quattro ruote a benzina sono in crescita (sfiorano ormai il 20%). Però tra i privati (che percorrono in media meno strada), l’auto che beve la “verde” conquista circa 15 punti percentuali in più.
La coscienza ecologica delle flotte italiane, quindi, è certa, ma senza un sistema incentivante non riuscirà a progredire con maggiore rapidità. Rimane confinata a scelte di downgrading dimensionale e downsizing motoristico. E alla pianificazione di sistemi di mobilità che favoriscono l’utilizzo di sistemi di trasporto alternativo alla mobilità privata, oppure all’implementazione di progetti di corporate car sharing aziendali. Secondo recenti indagini di mercato, oltre il 70% delle imprese italiane vede con favore l’utilizzo massiccio dell’auto in condivisione.
Nota su Dataforce:
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